Artisti del secondo 800 all’Antico Caffè Greco

Antico Caffè Greco

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Antico Caffè Greco

Artisti del secondo 800 all’Antico Caffè Greco

 

Col passare degli anni, gli artisti raccolti al Greco di Roma non cessarono di rappresentare uno dei più spiccati motivi di quel picturesque, al quale gli oltramontani erano particolarmente interessati. A tal punto che le guide turistiche si vedevano costrette a fornire in merito precisi particolari, fissando persino gli orari migliori per godere di quegli assembramenti, quasi dovesse trattarsi di una regolare rappresentazione. «Caffè Greco, with a restaurant, in the Via Condotti, the rendezvous of the artists of every country – almost all the artists in Rome may be met here; it is their general rendezvous at 7 A.M. for breakfast, and in the evening».

Così, ad esempio, il Murray’s Hand-Book dedicato a Rome & its Environs nel 1869 (e citiamo già dalla 9′ edizione); mentre nel Beadeker di trent’anni più tardi, Central Italy and Rome, 1900, il particolare sarà appena annotato: «Cafè Greco, Via Condotti 86, formerly frequented by artists». La ragione di una simile affluenza ce la dà il De Cesare, dove scrive che «gli artisti formavano nella vita sociale di allora una classe affatto distinta, con una nota propria, schietta e geniale.

Non c’erano circoli o clubs», egli aggiunge, «e per una tradizione quasi secolare, si davano convegno al caffè Greco, in via Condotti, che era divenuto loro feudo e recapito, e campo chiuso delle loro dispute vivaci e iperboliche». E, prima di lui, Pascarella non aveva esitato ad affermare: «si può dire, senza esagerare, che fino al 1870 il Circolo artistico internazionale di Roma fu il Caffè Greco». Sembra però che, di quei tipici personaggi, pochi dessero commercio. Male comune a tutta la penisola, come avevano già osservato i De Goncourt: «Il caffè, in Italia, è luogo pubblico, in cui non si consuma niente». Sta di fatto che passò in proverbio, negli annali del caffè Greco, la consumazione tipica di quei bohémiens: «acqua di cannella e fuoco di padella». Cioè l’acqua della fontanina che butta tuttora nella prima saletta, sotto il telefono a gettone, e la padella, o «focone», che troppo spesso serviva soltanto a far accendere le pipe degli sfaccendati avventori. Tolleranti tradizioni del Greco nelle quali vanno ad inserirsi anche i molti «chiodi» piantati dagli artisti, a tutte spese delle varie gestioni del locale, dal Carnesecchi al Salvioni (che si fece una reputazione durante il blocco napoleonico, continuando a mescere, sia pure in misura minore del consueto, caffè genuino, mentre le altre botteghe non passavano che «cicoria»), dal Frezza ai Gubinelli, di cui avremmo occasione di parlare a lungo.
Ma non appiccavano soltanto «chiodi», quegli artisti; lasciavano pure disegni.

Un cameriere del locale, certo Raffaele (che il Frezza usava indicare nel quadro del Passini), possedeva un album che, secondo quanto il Frezza stesso riferì a Cesare Pascarella, «era un museo, e conteneva firme, indirizzi, poesie, pezzi di musica, disegni, caricature e motti di coloro che avevano frequentato o visitato il caffè. Quel gestore rammentava inoltre molto chiaramente una pagina tutta di pugno di Gogol e «un guerriero a cavallo» di Massimo D’Azeglio, mentre ancora più esplicita risulta la testimonianza scritta di Nino Costa sul prezioso cimelio. «Vi era al Caffè Greco», egli riferisce, «un certo cameriere chiamato Raffaello, favorito di tutti, che aveva raccolto in un album una quantità di schizzi all’acquarello dei migliori artisti dell’epoca, ed io mi sentii molto lusingato quando venni richiesto di contribuirvi, il che feci dandogli l’unico acquarello che mai abbia fatto in vita mia». Più tardi anche Frederic Leighton, futuro Presidente della Royal Academy, aderirà all’invito, e proprio sfogliando quelle pagine, narra con orgoglio il Costa, nascerà in lui l’ammirazione per il pittore romano, che doveva poi tramutarsi in reciproca duratura amicizia.

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