Stendhal al Caffè Greco a Roma

Marie-Henri Beyle, noto come Stendhal

Immagine 1 di 3

Marie-Henri Beyle, noto come Stendhal

 
Stendhal al Caffè Greco di Roma

 

Marie-Henri Beyle, noto come Stendhal, così intimamente ed in maniera esaltante e duratura legato al nome di Roma e al nome del Caffè Greco di Roma, finirà anch’egli, ad un anno appena dalla morte, per alloggiare sulla via Condotti a Roma, di fronte alla Trinità degli Spagnoli, grazie alle premure del pittore ginevrino Abraham Constantin, amico e commensale assiduo. Intorno a quest’epoca si può leggere nella Correspondance che al Caffè Greco di Roma, rendez-vous degli artisti, si serviva «pour treize centimes une tasse de café excellent».

Ma già molti anni prima, verso il 1823-24, lo scrittore vi si era recato espressamente, come da sollecitazioni avute, per conoscere un suo sosia, il paesaggista francese Etienne Forby, rimanendo però choqué nel trovare un uomo «sans doute fort bien au moral, mais … si peu beau»! Anzi, sulla cordiale frequenza di rapporti con il rinomato locale, a parte le testimonianze dirette dello stesso Constantin, Paul Hazard, biografo del Beyle e, a quanto sembra, sicuro conoscitore del Caffè Greco di Roma, ci ha ricavato una paginetta gentile, tutta vibrante dello spirito di quelle «Promenades, là dove non risente del languore dei tramonti goduti dall’altura pinciana. «Quelquefois», egli scrive, «on le voit attablé au café Greco à Rome, qui est bien le petit café le plus plaisant du monde, parce qu’il ne s’est jamais décidé à choisir entre l’architecture d’une cave et celle d’un boudoir. Les artistes et les écrivains s’y donnent rendez-vous, jouent aux cartes, aux dames, aux échecs, ou bien discutent dans la fumée des cigares et des pipes: et quand ils auront fini, la poésie, la peinture, la sculpture, et tous les arts seront renouvelés.


Dominique [uno dei tanti nomi che usava darsi Stendhal], assis sur la banquette rouge, devant un petit guéridon de marbre poisseux, les écoute, et sourit. Il sort avec majesté, et monte jusqu’à la Villa Médicis. Alors toute la ville s’étend à ses pieds, les dômes, les campaniles, les coupoles, les tours, les toits que les rues éventrent en creusant leur sillon. Pas de couleurs noirâtres, pas de fumées, pas de nuages pesants, pas de brumes: tout semble vibrer dans la lumière; le gris tendre des toits fanés se fond dans le bleu léger du ciel. Quand le soir tombe», conclude Hazard, «et que s’apprête le premier crépuscule, les lignes et les arêtes s’effacent; ce ne sont plus que douces nuances attardées; reflects de miroir pôli; reflects de clair de lune».


Stendhal prediligeva sopra ogni altra questa sua passeggiata, e quella sosta, ma finiva quasi sempre per non trovarsi bene tra i connazionali. Non amava i presuntuosi, turbolenti giovani vincitori del Prix de Rome; e i «pensionnaires» non amavano lui. Anzi il pittore Ernest Hébert, suo parente alla lontana, e anche lui di Grenoble, non aveva esitato un momento a dipingerlo come «un vieil ours grognon».


In questi anni, alla corrente tedesca che fa capo al Caffè Greco di Roma viene in tal modo ad affiancarsi quella francese, alimentata incessantemente dalla Académie de France à Rome. La sera del suo arrivo lassù, per iniziare il pensionato musicale, ecco piombarvi Berlioz con tutta la sua irruenza. «Le soir même», registra nei Mémoires, «après avoir salué M. Vernet, je suivis mes camarades au lieu habituel de leurs réunions, le fameux café Greco à Rome. C’est bien la plus détestable taverne qu’on puisse trouver: sale, obscure et humide, rien ne peut justifier la préférence que lui accordent les artistes de toutes les nations fixés à Rome». Come mai, allora tanta affluenza? Ecco trovato. «Mais son voisinage de la place d’Espagne et du restaurant Lepri qui est en face, lui amène un nombre considérable de chalands. On y tue le temps», prosegue impietosamente, «à fumer d’exécrables cigares, en buvant du café qui n’est guère meilleur, qu’on vous sert, non point sur des tables de marbre comme partout ailleurs, mais sur de petits guéridons de bois, larges comme la calotte d’un chapeau, et noirs et gluants comme les murs de cet aimable lieu. Le Café Greco à Rome cependant», trova la forza di riconoscere, «est tellement fréquenté par les artistes étrangers, que la plupart s’y font addresser leurs lettres, et que les nouveaux débarqués n’ont rien de mieux à faire que de s’y rendre pour trouver des compatriotes».


L’indomani (siamo nel 1830) l’autore della Symphonie fantastique conosce Felix Mendelssohn, da qualche settimana ospite personale di Horace Vernet. Non s’intenderanno. Dove troveranno invece un tacito punto di incontro sarà proprio nei confronti del Greco di Roma, almeno a giudicare dal brano di lettera del compositore tedesco, in data 10 dicembre di quell’anno.
«Sono persone disgustose», scrive, «quelle che siedono al Caffè Greco. Io non ci vado quasi mai, perché provo avversione per loro e per il loro prediletto locale. Una piccola oscura camera, larga circa otto piedi, da un lato della quale si può fumare tabacco, e dall’altro no. Qui, sui banchi, essi siedono in giro, con i loro larghi cappelli e grossi cani da macellaio accanto. Collo, guance, tutto il viso coperto dai capelli, fanno un fumo spaventevole (soltanto da una parte della stanza) e si scambiano grossolanità, mentre i cani hanno cura di spargere fastidiosi insetti nocivi. Una cravatta, un frack, sarebbero qui una novità».
E prosegue, a rincarare la dose, a completare il grottesco quadretto. «Ciò che nel volto è libero dalla barba è coperto dagli occhiali; e così bevono il caffè, e parlano di Tiziano e del Pordenone, come se sedessero accanto a loro e portassero le loro barbe e i loro morioni. Invece fanno Madonne malate, santi infrolliti, eroi sbarbatelli, che, tra l’altre cose si proverebbe una vera voluttà a frustare». 

Giudizi che riflettono sicuramente un fondo di verità, ma ai quali non sono del tutto estranee certe asprezze antiromane che, quasi un vezzo, gli stranieri non hanno voluto mai lesinare nei confronti di una città che tanto più allora suscitava inaudito ardore, non di rado facendo loro dimenticare la patria d’origine. Quanto alle delusioni sofferte nei confronti del Greco di Roma da alcuni illustri ospiti, possiamo considerarle provocate innanzitutto dall’affollamento eccessivo, che generava, almeno a prima vista, un serio squilibrio tra contenente e contenuto; in secondo luogo, il consumo degli «zigari», che contribuiva a rendere pressoché irrespirabile l’aria delle stanze. Un inconveniente al quale si tenterà di ovviare più tardi, secondo le generiche affermazioni di una pubblicazione specializzata. «Se nel 1828», vi si legge, «le piccole botteghe del tabacco si identificavano con le bettole dove il popolino si riuniva per bere e fumare (non a torto l’istituzione della privativa del tabacco è connessa a quella dell’acquavite), nel 1845 erano già in voga a Roma le salette da fumo, brillantemente ostentate dai caffè più rinomati di via Condotti e via del Babuino».

 

[DISPLAY_ULTIMATE_SOCIAL_ICONS]