Nicola Di Maddalena Caffettiere al Caffè Greco di Roma

Antico Caffè Greco 1760 Roma

Immagine 2 di 4

Antico Caffè Greco 1760 Roma

 
Nicola Di Maddalena Caffettiere al Caffè Greco di Roma

 

Il Caffè Greco, anzi l’Antico Caffè Greco di Roma, ha così compiuto da tempo due secoli di ininterrotto commercio. A.D. 1760 è scritto nella vetrina accanto all’ingresso del locale, posto al numero civico 86 di via Condotti a Roma; e questo anche se, a comprovare la nascita, mancano adeguati documenti anagrafici.

Soltanto in una delle carte che formano il Libro dello Stato dell’Anime della Parrocchia di San Lorenzo in Lucina riferito a quell’anno (ed ora conservato nell’Archivio del Vicariato, al Laterano) siamo riusciti a rintracciare elementi atti a fare un po’ di luce su quelle origini. Infatti, tra spedizionieri, magazzinieri, «parrucchieri», facocchi, cocchieri, sellari, gestori di locande, curiali e sartori, che affollano «Strada Condotti», allora movimentata come il piazzale di una moderna stazione ferroviaria (il grande vestibolo di Roma era piazza del Popolo), in quel 1760 risultano pure allogati, come abbiamo detto, un «Nicola di Madalena caffettiere, levantino», con la moglie Barbara di Rosa, Caterina Bianchi, servente, e due «giovani».

Al nome di questo «levantino», Domenico Gnoli credette a sua volta di poter associare il «turco» che campeggia in una incisione di Nicolas Bocquet, artista intorno al quale ben poco sappiamo, se non che lavorò a Roma e a Parigi alla fine del XVII secolo (perciò almeno sessant’anni prima della supposta nascita del Greco). Un’incisione parigina («Se vend Rue St. Jacques, au Grand Monarque»), con didascalia bilingue. Quattro righe di approssimativo italiano e quattro di saporoso francese:

Caffè di Roma
Chi sarà stato in Roma, cognoscera
Giorgio nella sua Bottega, sto Turco,
fa il Gatto morto, ma per lui la
Musica è il suono delli Quadrini.

Le caffé de Rome
Ceux qui auront esté a Rome conoitront
le Sr. George dans sa Boutique; ce Turc
est plus fin que l’on ne pense, la Musique
qu’il aime le plus est le son de l’Argent.

Ma Gnoli e gli altri ignorarono (ingannati dal fatto che la Biblioteca Nazionale di Roma conservava e conserva soltanto questa incisione) che la tavola Caffè di Roma fa parte di una serie di undici soggetti, tutti dedicati ai Costumes Romains, rappresentati e commentati con vena satirica e apertamente antiromana. Per cui, non potendo prendere in considerazione, per evidenti incompatibilità di ordine cronologico, che la scena riprodotta dal bulino del Bocquet si riferisca all’interno del Caffè Greco (mentre epoca e costumi potrebbero benissimo farla identificare con la sala del Turco, in Piazza Sciarra), questo Giorgio, o Sieur George, sia pure in un ruolo di generale caratterizzazione, finisce egualmente col testimoniare come anche Roma, pur tagliata fuori dalle grandi direttrici di traffico, si trovò ad avere greci ed ebrei e turchi e levantini, ad alimentare i suoi commerci, a mantenere legami con terre lontane. E quanto ai primi basterebbe accennare all’«isola» greca, esistente da tempi remoti in Campo Marzio, al confine col rione Ponte. Una contrada, una torre e una fontana, dalla quale prendeva a sua volta nome un’osteria alla Fontana delli Greci, che si trova menzionata in un atto notarile fin dal 1473.

Nel cuore del cattolicesimo l’introduzione del caffè aveva suscitato un dissidio, presto composto, che interessava direttamente la religione. Ci si era domandati se poteva rompere il digiuno; trattandosi però di bevanda «e non cibo», i timori risultarono del tutto infondati. Più laboriosi erano stati gli accertamenti nei confronti della cioccolata in tazza, fino a che, in una dissertazione stampata in Roma nel 1666, il cardinal Brancacci dichiarò decisamente che «non guastava il digiuno». Tuttavia, grande trambusto si ebbe negli ambienti ecclesiastici allorché, sulla fine del Seicento, la bizzarra quanto seducente Anna de la Trémouille, una Talleyrand andata successivamente sposa a Flavio Orsini (donde l’appellativo di Princesse des Ursins), introdusse dalla Francia l’uso di bere la cioccolata, facendone una golosa attrattiva del suo affollato salotto, in palazzo Orsini, ubicato ove è poi sorto Palazzo Braschi. 

Anzi, per sorbire l’eccitante bevanda, proprio intorno a quegli anni verrà destinato uno speciale ambiente, ricavato in un edificio preesistente o costruito ex-novo, e chiamato con voce tedesca Kaffeehaus «L’edificio del Caffeaos», annoterà Gaetano Moroni nel suo Dizionario di erudizione storico-ecclesiastica, «che altri dicono Caffeaus, Caffehaus, Caffehaos o Caffè-house, casina di delizia principesca, come altri vogliono casa destinata a bere il caffè». Ci resta oggi quello sorto nei giardini del Quirinale, o l’altro della Villa Albani, o l’altro ancora, detto pure Galleria o Casino Rospigliosi, ove «si ammira lo stupendo e famigerato (sic) affresco del celebre Guido Reni, conosciuto col nome di Aurora di Guido».

Intanto, nelle strade e nelle piazze, «caffettieri e pasticcieri» venivano sostituendosi ai «lattai e dolciari», ove già «si radunavano persone a discorrere di cose facete», citiamo ancora dalle pagine del Ghetanino di belliana memoria, proprio «come le odierne botteghe di caffettiere e peggio, quale convegno anche di vagabondi e oziosi». Convegni sui quali ci ha lasciato una vivida, veristica testimonianza Giacomo Casanova, entrato al servizio del cardinale Acquaviva nell’ottobre del 1743 e, in tale sua qualità, costretto a prendere lezioni di francese da «un avocat romain nommé Dalacqua, qui demeurait précisément en face du palais d’Espagne», secondo quanto gli aveva consigliato l’abate Gama, portoghese.

Un mattino, egli narra nei suoi Mémoires, « l’abbe Gama m’apporta un grand livre rempli de lettres ministerielles que, pour m’amuser, je devais compiler. Après avoir pris un air de besogne, je sortis pour aller prendre ma première leçon de français. Dès que je l’eus prise, je me dirigea vers la Strada-Condotta, dans l’intention d’aller me promener, quand je m’entendis appeler. C’était l’abbé Gama, sur la porte d’un café. Je lui dis à l’oreille que Minerve m’avait défendu les cafés de Rome. Minerve, me répondit-il, vous ordonne d’en prendre une idée. Asseyez-vous auprès de moi». Casanova entré e sedette, vide e intese. «J’entendis», continua cosi il turbolento diciottenne, «un jeune abbé qui contait à haute voix un fait, vrai ou controuvé, qui attaquait directement la justice du Saint-Père, mais sans aigreur. Tout lemonde riait et faisait écho. Un autre, auquel on demandait pourquoi il avait quitté le service du cardinal B., répondit que c’était parce que l’éminence prétendait n’être pas obligé de lui payer à part certains services; et chacun de rire à volonté. Enfin un autre vint dire à l’abbé Gama que s’il voulait passer l’après-diner à Villa Médicis il le trouverait avec deux petites Romaines qui se contentaient du quartino. C’est une monnaie d’or qui vaut le quart d’un sequin», spiega il futuro nobile di Seingalt, e prosegue ancora. 

«Un autre abbé lut un sonnet incendiaire contre le gouvernment, et plusieurs en prirent coie. Un autre lut une satire de sa propre composition, et dans laquelle il déchirait l’honneur d’une famille. Au milieu de tout cela, je vois entrer un abbé d’une figure attrayante. A l’aspect de ses hanches, je le pris pour une fille déguisée, et je le dis à l’abbé Gama; mais celui-ci me dit que c’était Bepino della Mamana, fameux castrato. L’abbé l’appelle, et lui dit en riant que je l’avais pris pour une fille. L’impudant, me regardant fixement, me dit que si je voulais il me
prouverait que j’avais tort ou que j’avais raison».

Lasciamo all’autore tutta la responsabilità delle sue affermazioni, quantunque non pochi altri viaggiatori concordino con esse, riferendosi ad un particolare ambiente romano. Resta tuttavia da identificare il caffè nel quale Casanova entrò, passando da Strada Condotta. Se era il Greco, bisognerà retrodatare almeno al 17431e prime notizie che gli si riferiscono, ma, se non lo era, si potrebbe pensare che la bottega di Nicola di Madalena esistesse già prima della nostra conoscenza archivistica. Tanto più che il citato Libro parrocchiale lascia il dubbio che il Caffè gestito dal levantino non si trovasse proprio dove è oggi il Greco, poiché le indicazioni che lo riguardano sono raccolte nella parte concernente «Strada Condotti verso il Corso». Cioè nella sezione opposta a quella – «verso piazza di Spagna» – nella quale il celebre locale attualmente si trova. La prima sicura testimonianza sul nostro Caffè viene così ad essere quella di Pierre Prudhon, al dire di Cesare Pascarella, che di quelle salette è stato sottile biografo, oculato esaltatore. «Là tous les maîtres sont passés en revue et ne sont point épargnés», informa in una lettera il pittore borgognone. «On critique celui-ci, on dechire (il medesimo verbo usato da Casanova) celui-là. Tous ceux qui ne peuvent entrer en comparaison avec Raphâel lui même est blâmé de ne s’être pas assez servi de l’antique. Le mieux de tout cela, c’est que tous ces messieurs les beaux parleurs n’étudient ni l’antique ni Raphâel et s’amusent chez eux à ne rien faire qui vaille».