La leggenda del caffè

Storia del caffè, fatti e leggende.

La leggenda del caffè:

«La provenienza dell’arbusto Coffea arabica, da cui si raccolgono i chicchi di caffè, è ancora dibattuta. Pare che le prime piante siano state trovate a Caffa in Etiopia. Da quelle terre, tra il XIII e il XIV secolo, gli etiopi portarono il caffè nello Yemen.. Qui le piantine trovarono terreno fertile e prosperarono. Dallo Yemen, la pianta del caffè proseguì il suo cammino verso nord lungo la costa orientale del Mar Rosso, fino alla Mecca e a Medina (Arabia), dove già alla fine del XV secolo sorsero luoghi di degustazione in cui ci si riuniva appositamente per berlo.»

Nel XVII secolo giunse infine in Europa, anche se già un secolo prima a Venezia era possibile trovare i semi della Coffea arabica, venduti dagli speziali a prezzo altissimo, come medicamento.

In breve tempo il caffè divenne un bene di consumo facilmente reperibile, amato prima da nobili e intellettuali, poi anche dalla gente comune. A Istanbul, intorno al 1554, sorsero le prime caffetterie, che si moltiplicarono velocemente in tutta la città con il nome di qahvehkhaveh. Nel XVII secolo anche in Europa si ebbe il boom delle botteghe del caffè: già verso la fine del ‘600 nel Regno Unito se ne potevano contare oltre tremila, Parigi e Londra all’inizio del ‘700 ne vantavano almeno 300, mentre Vienna soltanto 10 botteghe. Fu invece un veneziano, Pietro Della Valle, il primo ad annunciare l’apertura di uno spaccio di caffè in Italia: era il 1615. Un secolo dopo, nel 1720, in piazza San Marco apriva i battenti il celebre caffè Florian e nel 1760 a Roma in via Condotti, apriva il leggendario Caffè Greco a Roma fondato da  un certo Nicola della Maddalena, questi due caffè ancora oggi vantano il titolo di “caffè più antichi del mondo“.

L’irresistibile ascesa della nuova bevanda contribuì, nel Settecento, a far superare definitivamente i pregiudizi che avevano circondato per secoli il caffè – inizialmente la Chiesa aveva appunto tentato di confinare ai margini della società definendolo come: la bevanda del Diavolo. L’accusa era che fosse una bevanda diabolica, capace di rendere vigili, troppo loquaci e disinibiti persino i caratteri più morigerati.

La conferma ci arriva dai racconti del frate maronita Antonio Fausto Nairone, teologo alla Sorbona (Parigi) fra il Sei e il Settecento. uno dei suoi racconti, narrava che: l’arcangelo Gabriele aveva offerto il caffè al profeta Maometto, il quale dopo averlo bevuto “disarcionò in battaglia ben quaranta cavalieri e rese felici sul talamo addirittura 40 donne“.

Più duro a morire fu il pregiudizio che associava i consumatori di caffeina a una vita notturna libertina e piena di vizi. Non a caso nel 1732 il compositore tedesco Johann Sebastian Bach scrisse una cantata il cui testo descriveva l’angoscia di un padre desideroso di guarire la figlia dalla passione del caffè, una passione che si coltivava nelle botteghe del caffè. Una curiosità su questa leggendaria bevanda, nel 600 circa,  per avere il caffè era necessaria la prescrizione medica.

Il caffè e i caffè stravolsero gli usi e costumi dell’epoca, mantennero sempre una doppia anima: Da un lato come luoghi di aggregazione e convivialità, dall’altro divennero spesso sedi di dibattito, chiamati anche “scuole di saggezza” o “Libere Università”. I caffè erano per lo più frequentati da uomini colti e da letterati, che si davano appuntamento per conversare e bere la bevanda fino a tarda notte, tenuti svegli dalle proprietà eccitanti della caffeina. Col tempo, i caffè divennero anche luoghi dove si alimentava la contestazione politica.

I Caffé furono meta di filosofi, artisti, uomini politici e scrittori, in poco tempo in Europa divennero sinonimo di circoli letterari. Un secolo dopo i caffè letterari furono omaggiati da un gruppo di pensatori liberali italiani, capeggiati dal filosofo Pietro Verri, che chiamò Il Caffè la rivista da lui fondata, che diede un contributo fondamentale alla diffusione dell’Illuminismo in Italia.

Nel nostro Paese il caffè è quasi da sempre un simbolo nazionale. Dapprima l’ex “vino d’Arabia” o “bevanda del diavolo”, divenne protagonista a teatro. Il commediografo veneziano Carlo Goldoni già nel 1750 dedicò al tema una commedia di successo, La bottega del caffè. Undici anni dopo l’abate gesuita e scrittore Pietro Chiari replicò con un dramma giocoso, Il caffè di campagna.Nello stesso periodo iniziava la sua carriera la tazzulella ‘e cafè celebrata da tante canzoni napoletane.

A Napoli si affermò una variante al caffè turco: invece di cuocere la polvere dei chicchi macinati, stemperandola in acqua in un bricco di rame poggiato su braci o sabbia calda, si diffuse la cottura napoletana. Il nuovo metodo prevedeva il filtraggio dell’acqua bollente, fatta colare dall’alto attraverso la polvere di caffè: è il principio che fa funzionare la cuccumella.

Nel 1902, a Milano, nacque invece l’espresso, grazie all’invenzione dell’ingegner Luigi Bezzera: una macchina che sfruttava l’alta pressione per filtrare il macinato. Nella moka, infine, messa a punto dall’imprenditore Alfonso Bialetti nel 1933, l’acqua portata a ebollizione sale dal basso attraversando la polvere di caffè.